Il dato molto atteso sul mercato del lavoro americano che ha mostrato un netto incremento dei lavoratori a conferma di una economia che continua ad essere forte, ha ingarbugliato ancora di più le carte. La politica monetaria continua ad essere al centro dei pensieri degli investitori che guardano con attenzione all’andamento dei rendimenti obbligazionari per avere un punto di riferimento.
Questo all’interno di un 2023 di difficile decifrazione: iniziato con l’ottimo e inaspettato forte avvio dei listini azionari tra gennaio e febbraio legato ad aspettative meno pessimistiche sull’imminente recessione e il tracollo dei prezzi delle materie energetiche seguito poi da una fase di calma e dai massimi di luglio quando sembrava che il rialzo dei tassi fosse giunto al termine
Ma il mantra dei tassi “higher for longer” e la continua forza dell’economia stanno adesso raffreddando le aspettative positive rimandando alle seconda parte del 2024 possibili ribassi dei tassi con effetti negativi sui listini azionari. Con le banche centrali che oltre ad evitare un riemergere dell’inflazione come negli anni 70/80 devono contrastare proprio con gli alti tassi gli eccessi di spesa pubblica post pandemica che avevano originato l’inflazione, fornendo una sorta di attività di compensazione.
Il 2023 si è presentato quindi come un anno ingannevole e per questo di difficile lettura, situazione che non sembra destinata a cambiare negli ultimi 3 mesi che invece saranno caratterizzati da una notevole volatilità in particolare sul lato tassi. Parlavamo di un anno ingannevole: difficile definire in maniera diversa dove i maggiori profitti sul lato azionario sono stati fatti nei primi mesi dell’anno e dove in America 7 titoli big tech legati alla intelligenza artificiale hanno fatto registrare guadagni molto sostenuti mentre la gran parte delle small/medium cap hanno riportati risultati negativi.
Anche l’andamento stesso dei comparti ha evidenziato la differenza tra America e Europa dove al balzo del settore “growth” a cui appartengono i titoli tecnologici americani ha fatto da contro-altare la salita di bancari ed energetici tipici del settore “value” in Europa. Questo gap rischia di ampliarsi nei prossimi mesi con la Fed che potrebbe essere costretta ad operare sulla leva dei tassi al fine di creare delle “mini-depressioni” cioè dei lenti rallentamenti economici che abituino gli investitori/consumatori ad una nuova situazione di normalità in presenza di tassi di interesse più alti. Creando di fatto in una sorta di “soft landing” ma guardando anche alle presidenziali di novembre 2024
L’Europa invece si trova in una situazione completamente diversa avendo anche una inflazione di origine diversa, con il rischio che il rallentamento economico originato dal fortissimo rialzo dei tassi sfoci in una “stagflazione”, condizione gia orribile di suo, ma ancora di più a ridosso delle elezioni europee del prossimo giugno che potrebbe incrementare il vento antieuropeo tipico del populismo.
Mentre si attendono le ripercussioni della guerra in Palestina che per il momento rimane un evento locale, la settimana entrante fornirà maggiori delucidazioni riguardo la politica monetaria in America con il dato sui prezzi alla produzione (PPI) mercoledi e al consumo (PCI) giovedi mentre sempre mercoledi saranno pubblicati i verbali dell’ultima riunione della Fed. Venerdì inoltre prenderà il via la stagione delle trimestrali con gli utili delle principali banche come tradizione, interessanti indicazioni per verificare se esiste qualche rallentamento dopo 18 mesi di rialzi dei tassi.