Ci mancava solo la problematica del tetto del Debito a complicare la situazione in America, con la disoccupazione che continua a mantenersi bassa anche se in leggera crescita e la fiducia dei consumatori che scende come riportato dai dati della scorsa ottava. Gli effetti del rialzo dei tassi più importante degli ultimi 40 anni iniziano quindi timidamente far sentire il proprio effetto sull’economia, spostando il focus dei mercati dall’inflazione, ormai al suo massimo alla paura di una recessione, unico modo per la Fed di sgonfiare la bolla dei prezzi

Ma l’incertezza è ben documentata anche dall’andamento dei listini azionari americani, bloccati ormai da mesi all’interno di una fase laterale non direzionale o addirittura negativa nel caso del Russell2000 che rappresenta l’andamento delle società a piccola/media capitalizzazione. Fa ancora una volta eccezione Nasdaq in rialzo di 20 punti da inizio anno ma anche qui il diavolo si nasconde nei dettagli essendo la performance positiva attribuibile a quei 7/8 titoli big tech che da soli rappresentano quasi il 30% della capitalizzazione dell’S&P500 formato appunto da 500 aziende.

Insomma un mercato ricco di contraddizioni che sembra aver scontato con il “rally di sollievo” visto negli ultimi 6 mesi lo scenario meno negativo di quanto fosse lecito attendersi ma in attesa di qualche segnale che possa contribuire a spingere al rialzo i listini azionari. Gettando ulteriore pressione sulla Fed, alle prese con la crisi delle banche regionali, per un cambiamento di rotta sulla politica monetaria aggressiva, con i futures sui tassi di mercato che indicano già la possibilità di un taglio del costo del denaro dopo l’estate.

Rimane da capire se il ribasso del costo del denaro sia una possibilità concreta o solo un pio desiderio, ricordando che le discese dei listini azionari avvengono con l’avvio di un cambiamento di rotta che certifica la presenza di una recessione. Quello che è certo che però è che le banche centrali e gli investitori si trovano a dover affrontare un cambiamento strutturale di scenario rispetto a quello che a cui si erano abituati negli ultimi 15 anni. Dove l’inflazione è “appiccicosa” e che quindi fa fatica a scendere verso l’obbiettivo del 2% che forse è irreale in questo mutato contesto, ma non è l’unica variabile da tenere in considerazione dopo 14 mesi di mercati sulle montagne russe.

In America l’origine dell’inflazione è dovuta in gran parte all’incredibile liquidità immessa nel sistema in particolare per contrastare la pandemia che ha portato a consumi senza precedenti, appunto come se non ci fosse un domani, in presenza di problemi di approvvigionamento e costretto le aziende ad inseguire ed assumere per riuscire a stare dietro alla domanda. E creando un mercato del lavoro che continua ad essere stabile e ritarda cosi le possibilità di un rallentamento economico condizione sine qua non per un calo dei prezzi.

In Europa la situazione è ancora diversa perché la pressione inflazionistica è stata conseguenza inizialmente all’aumento dei prezzi delle materie energetiche ma l’elevato livello del suo valore “core” in presenza di cali del prezzo del petrolio e del gas evidenzia le problematiche strutturali del problema. E mette in primo piano il fattore demografico legato all’invecchiamento della popolazione con la difficoltà per le imprese di trovare lavoratori qualificati nel il mondo digitale e di specializzazione in particolare nel settore manufatturiero con conseguente pressione al rialzo sui salari, mentre gran parte dei baby-boomers si avvicina alla pensione. Con l’inflazione che rischia di essere presente per un  bel po, il rialzo dei tassi dalla Bce quindi sembra solo un modo per non importare inflazione tramite una valuta troppo debole, non avendo poco o nessun impatto su inflazione da offerta e sulle dinamiche salariali dovute anche all’invecchiamento della popolazione.

Nel contesto attuale problemi vengono dalla crescita cinese dopo le riaperture post covid sui cui c’erano molte aspettative ma che i recenti dati hanno mostrato essere debole. I cinesi per oltre un decennio sono stati la “fabbrica del mondo” producendo a bassissimo prezzo e consentendo una quasi scomparsa dell’inflazione grazie alla globalizzazione ma che adesso si trovano ad avere problematiche di crescita interna. Il tutto deve peraltro essere inquadrato in un nuovo scenario di ordine mondiale con la formazione di un due blocchi  contrapposti (democrazia contro autarchia) e con una serie di problematiche geopolitiche, dall’Ucraina a Taiwan, senza dimenticare tutto il contesto africano, attualmente non considerate ma che potrebbero impattare in maniera importante sulla crescita economica.

Ed è un po questo il motivo della cautela sui mercati. Il rimbalzo da ottobre in poi c’è stato perché la situazione si è rilevata non cosi disastrosa come ci si poteva aspettare ed i mercati vivono proprio di aspettative. In questo contesto pensare ad un taglio dei tassi della Fed nel 2023 sembra decisamente prematuro come dimostrato anche dalla Banca d’Inghilterra che ha alzato i tassi la scorsa settimana, anche perché Powell non vuole rischiare una nuova perdita di credibilità dopo aver definito infelicemente l’inflazione transitoria. Con il rischio concreto che dopo aver agito troppo forte e troppo tardi ripeta l’errore opposto mantenendo i tassi alti più a lungo del dovuto. Ed in attesa di capire come la restrizione del credito impatterà sulle banche regionali che rimangono nell’occhio del ciclone.

Al termine di un ciclo economico irripetibile durato oltre 15 anni la soluzione ai problemi di investimento risiede proprio nella capacità di guardare oltre, immaginare come da questa situazione di cambiamento si possa andare verso un mondo diverso anche per ciò che riguarda la parte finanziaria. Magari con un ruolo più defilato delle banche centrali e con una minore finanziarizzazione dell’Economia

Di Filippo Ramigni

Filippo Ramigni è un analista e consulente finanziario con una ultra ventennale esperienza sui mercati conseguita principalmente tra Milano e Londra dove ha conseguito la specializzazione sull’analisi tecnica (CFTe). Rientrato in Italia, dal 2014 collabora con GiottoCellinoSim società di consulenza indipendente dove si occupa di analizzare i vari mercati finanziari al fine di individuare delle tendenze che possono poi essere utilizzate sia per la costruzione di portafogli che per attività di tipo speculativo. Dal 2000 è ospite fisso in qualità di esperto finanziario dei principali canali del settore (Bloomberg Tv Italia, Ilsole24oreTv, MilanoFinanza). Attualmente interviene con ottica settimanale sia sulle televisioni finanziarie tematiche come ClassCncb e LeFonti.Tv che su quelle generaliste come TgCom24 e Skytg24 a commentare i principali eventi finanziari Ha pubblicato anche analisi economiche per alcune riviste finanziarie tra cui Bloomberg investimenti. Le sue analisi sono spesso riportate sui siti finanziari italiani come Investing.com Trend-online.com, Etfworld e Yahoo finance oltre che su “CorriereEconomia” inserto economico del Corriere della Sera Inoltre collabora con il Dipartimento di Economia dell’Università di Padova tenendo dei seminari sulle dinamiche dei mercati finanziari e sulle prospettive economiche, oltre a promuovere l’educazione finanziaria e la gestione dell’investimento con riferimento al rischio e alla parte emotiva dell’operatività

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