La recessione più attesa di sempre. E’ difficile definire altrimenti l’attesa spasmodica per un rallentamento economico indotto dal rialzo dei tassi da parte delle banche centrali come rimedio alla corsa del rialzo dei prezzi. Con il paradosso che più si alzano i tassi più l’economia in America mostra un notevole tenuta, anche se si intravedono segnali di rallentamento. E con un mercato del lavoro che continua a presentarsi forte portandosi appresso tutte sue dinamiche salariali.
Normalmente la recessione arriva come una sorpresa, uno shock, all’interno di un quadro in rallentamento, mentre qui se ne parla da mesi come l’unica alternativa possibile da parte dalla Fed di raffreddare l’economia. Ma sui mercati finanziari che vivono di aspettative, raramente si concretizza quanto atteso. E lasciano con il cerino in mano il buon Jerome Powell costretto da una parte ad allungare la stretta monetaria in attesa di riscontri che non arrivano, nonostante il rialzo dei tassi più ampio da oltre 40 anni, e dall’altra ad occuparsi della crisi bancaria. Con il rischio che un ulteriore restringimento del credito possa aggravare la situazione.
E’ bene ricordare che questa crisi, che riguarda le banche americane a media capitalizzazione, è dovuta in gran parte all’indebolimento dei regolamenti bancari “Dodd-Frank”, approvati da Obama dopo la crisi dei subprime del 2008, ma ammorbiditi dall’amministrazione Trump al fine di liberare la banche più piccole dagli standard applicati alle banche più grandi di importanza sistemica. Ed evidenzia la caratteristica tipicamente americana legata alla dinamicità del sistema e alla opportunità di fare business che viene assecondata dalla politica e che porta ad avere regole meno stringenti e alle conseguenti crisi.
In questo contesto va ricordato anche l’abrogazione avvenuta sotto l’amministrazione Clinton nel 1999, delle disposizioni del Glass-Steagall act del 1933, che prevedeva la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento, varato proprio per impedire il ripetersi della crisi finanziaria del 1929 che diede il via alla Grande Depressione. L’annullamento di questo provvedimento è stato l’inizio del processo che ha portato l’America sul baratro della crisi del 2008 che si è conclusa con il fallimento di Lehman Brothers.
La storia ricorda che l’equilibrio perverso tra necessità di regole per preservare il sistema economico e la liberalizzazione per produrre business da sempre esistente in America impatta in maniera pesante sul sistema finanziario internazionale ed in particolare in Europa come abbiamo visto nel 2009 con la crisi dell’Euro ed anche nel recente mese di marzo, nonostante una maggiore solidità del comparto bancario europeo ma che presenta ancora rischi sistematici come nel caso di Credit Suisse e Deutsche Bank
Ma in particolare costringe la Fed ad intervenire. Fondata nel 1913, la versione moderna della principale istituzione monetaria americana risiede nel 1935 quando dopo la Grande Depressione si definirono gli obbietti di stabilità dei prezzi e di piena occupazione, a differenza per esempio della Bce il cui mandato è relativo solamente al controllo dell’inflazione. Ed è qui che entra in gioco Jerome Powell e la prossima riunione della Banca Centrale. Riuscirà il Presidente della Fed a contrastare l’inflazione che continua a presentare un valore “core” elevato e allo stesso tempo garantire una liquidità al sistema bancario in difficoltà proprio a causa dell’elevato e veloce rialzo dei tassi?
Gli investitori al momento non mostrano segnali di preoccupazione. Da inizio anno sono passati da momenti di nero pessimismo ad ottimismo sfrenato in uno swing non registrato dall’indice della volatilità, ma in questo momento sono in modalità “avidità”, anche grazie a delle trimestrali in linea con le attese ed alla ripresa dei titoli Big Tech, mentre sullo sfondo continuano a rimanere le problematiche geopolitiche, dall’Ucraina a Taiwan che al momento non sembrano essere prese in considerazione da nessuno.
Un altro di rialzo di 0,25% sembra scontato dal mercato a questo punto e per poi avviarsi verso una pausa, con qualcuno che profetizza addirittura una riduzione entro fine anno, dimenticandosi che i ribassi sui mercati azionari sono sempre avvenuti in concomitanza di un taglio che certifica la presenza effettiva di un forte rallentamento economico. Ma eventuali sorprese da parte di Powell, in particolare legate alla guidance futura e al “Dot plot” potrebbero innescare un momento di nervosismo sugli investitori che gia pensavano di aver superato il peggio. Confermando il detto “sell in may and go away” per poi darsi appuntamento alla fine dell’estate.