“Essere o non essere” diceva Amleto nella famosa tragedia di William Shakespeare scritta nel 1600 dove il protagonista intendeva che solo una completa distruzione e autodistruzione può cancellare il passato e istituire un nuovo ordine. Dilemma possibilmente applicabile ai mercati in questo periodo di confusione
La tanto temuta recessione non si sta avverando con le economie che dimostrano una notevole resilienza riuscendo a tacitare per il momento le cassandre. I recenti dati pubblicati dal FMI mostrano una crescita globale del 2,9% nel 2023 e del 3,1% nel 2024 ma le note positive vengono dai paesi industrializzati che mostrano un segno positivo nonostante le incertezze degli ultimi tempi, con la solita eccezione della Gran Bretagna che prova sulla sua pelle le conseguenze delle chiusure legate alle Brexit, alimentando ulteriormente il rimpianto per quello che è stato un voto ideologico e non con una chiara visione futura del referendum del 2016.
Non è tutto oro che luccica ovviamente, almeno sul fronte Europeo. L’apertura dell’economia cinese dopo anni di restrizioni legate al Covid sta favorendo una ripresa della Germania e a caduta di tutta l’Europa, favorita anche dal netto calo dei costi delle componente energetica dovuta sicuramente ad un inverno mite ma anche ad mutamenti di aziende e consumatori nell’utilizzo dell’energia con chiari segnali di riduzione della dipendenza del gas e petrolio russo. Oltre alla fine della speculazione che aveva portato il prezzo del gas quotato ad Amsterdam a 340 euro Mwh a fine agosto rispetto ai 42 euro attuali su cui avevano contribuito sia la necessità di acquisti a tutti i costi pur di riempire le riserve per l’inverno, come ammesso dalla stessa Germania, che “la manina russa” interessata ad avere prezzi alti per mettere pressione sugli stati europei
Ma questa positiva situazione complica non poco il lavoro della Lagarde. Se infatti è palese che la Bce si sia mossa in netto ritardo rispetto alla controparte americana e abbia ancora strada da fare come dimostra il gia annunciato rialzo di 0,5% nella prossima riunione di metà mese, dall’altra parte una stabilizzazione della situazione economica legato al calo della componente energetica annuncia che forse si ci è mossi troppo in termini di fretta ed ampiezza. Certo l’inflazione Core, cioè quella depurata da energia e generi alimentari, rimane alta ben sopra il 5% a conferma di un inflazione che dopo essere scomparsa per decenni, anche grazie ad innovazione tecnologica, globalizzazione e al contenimento della dinamica salariale, ha voglia di godersi il proscenio in un mondo che sta cambiando e che la guerra ucraina ha contribuito solo ad accelerare.
La preoccupazioni inflattive rimangono in Europa, e sui cui grava anche la possibile escalation del conflitto bellico, ma la presidente della Bce deve tarare le proprie mosse anche in base a quello che accade sulla sponda americana, avendo ben presente come un nuovo rafforzamento del biglietto verde proprio legato ad un divario dei tassi riporti nuovamente fuori controllo i prezzi nel continente europeo
Anche perché dall’altro lato dell’Atlantico la situazione rimane decisamente confusa. Dopo il “hard o soft landing” la parola in voga tuttora è “no landing” ad indicare che nonostante il furioso rialzo dei tassi visto l’anno scorso l’economia riesce a mantenere un certo vigore evitando quindi la recessione grazie alla tenuta dei consumi, favoriti dagli stimoli fiscali, e ad un mercato del lavoro che continua a dimostrarsi robusto fin sopra le attese degli analisti come ha dimostrato il dato dell’occupazione nel mese di febbraio con oltre mezzo milione di nuovi lavori rispetto ai 200 mila e rotti previsti.
Dall’altro lato i segnali negativi non mancano, a cominciare dall’inversione della curva dei rendimenti tra il Treasury bond a 2 anni (che ormai rende quasi il 5%) e quello a 10 anni con un divario ai massimi dagli anni 80, esattamente il periodo dell’iperinflazione combattuta dal governatore Volcker, e che normalmente annuncia una recessione o quando meno un forte rallentamento economico. Oppure le valutazioni aziendali che nonostante il calo dell’ultimo anno continuano a mostrare valori più alti rispetto alla media storica rendendo il mercato azionario americano ancora decisamente caro e quindi passibile di ulteriori correzioni.
Pare chiaro a questo punto che qualcuno è posizionato sul lato sbagliato, o i mercati azionari che non hanno valutato correttamente i rischi legati ai tassi e agli utili aziendali o la Fed andata troppo avanti e troppo velocemente nella sua politica restrittiva pur in presenza di una inflazione appiccicosa. La riunione di fine marzo della Fed chiarirà se Powell ha preso troppo alla lettera il ruolo di Amleto fingendosi “pazzo” in questi mesi per portare a termini i suoi piani di controllo dei prezzi.