Per una volta era andato tutto liscio. Le banche centrali si era comportate secondo le attese per quando riguarda i prospettati aumenti dei tassi e pure le conferenze stampa, pur se contraddistinte da qualche se di troppo, avevano mostrato una sfumatura ottimista per gli investitori facendo chiarezza sul percorso dei tassi. Ma poi il dato sul mercato del lavoro, attesi 187 mila persone ne sono state conteggiate 517 mila più del triplo, con una disoccupazione al minimi del 1953 ha scombinato nuovamente le carte. Come una secchiata di acqua ghiacciata che riporta subito alla realtà e la dice lunga su quanto sia complicato il compito dei banchieri centrali all’interno di uno scenario in continuo divenire
Da parte sua Powell era stato abile a fornire segnali di distensione ai mercati, continuando nel suo ruolo di Dottor Jekyll e Mr Hyde (“Lo strano caso del Dott. Jekyll e Sig. Hyde” Robert Stevenson 1886) cioè proponendo un comunicato/statement rigido ma poi ammorbidendo decisamente i toni durante la conferenza stampa. Il problema di Powell, e anche per gli altri visto che è lui che detta le danze, continua ad essere quello del timing di intervento. Dopo aver fallito clamorosamente di alzare i tassi nel momento più propizio nell’estate del 2021, a causa di una valutazione transitoria di un inflazione arrivata poi ai massimi storici, adesso invece si sta muovendo al contrario troppo velocemente ed in maniera troppo consistente (too high too far è il detto comune) conseguenza diretta del mancato timing in precedenza, privo di fatto di un equilibrio.
A difesa di Powell va detto che nell’estate del 2021 si stava uscendo dalla pandemia e che gli effetti dei rialzo dei tassi si fanno sentire con un ritardo di 6/9 mesi. Ma qui siamo in presenza di mercato del lavoro molto forte anche grazie ad una economia che continua a crescere trascinata da consumi a loro volta indotti dalla fortissima liquidità ancora presente sul mercato. Ed è alla fine questo il punto: si può continuare a parlare di rialzo dei tassi, con gli investitori costretti a rimodulare le loro aspettative dopo il dato di venerdì, ma il vero problema continua ad essere il fortissimo bilancio della Fed, già alto ma raddoppiato rispetto alla fase pre Covid e che ha spinto in alto anche i consumi privati oltre ai mercati azionari.
Ed è intorno alla capacità/scelta di riduzione del bilancio Federale, cioè di tornare ad una economia che alimenta gli utili aziendali secondo logiche di mercato e concorrenza rispetto all’aiuto della liquidità che ha favorito le politiche di “buy back” che a loro volta hanno contribuito ad abbellire i conti, che si capiranno le prospettive per i prossimi anni. Azione eventualmente da fare nei prox 12/15 mesi prima che cominci la battaglia per le elezioni presidenziali del novembre 2024 mettendo in stand-by manovre impopolari.
Quanto a Madame Lagarde la sua situazione è oggettivamente più complicata complice anche il ritardo con cui si è mossa e che la costringe a rincorrere. Ma che in ogni caso deve ringraziare il suo statement, il suo copione insomma a cui può aggrapparsi perché continuano ad essere evidenti nella conferenza stampa i suoi problemi di comunicazione fatta di “se” e “ma”. Ma almeno il comunicato scritto ha avuto il pregio di annunciare un ulteriore aumento dei tassi di 0,50% nella prossima riunione contribuendo non poco alla riduzione della variabile più temuta dagli investitori cioè l’incertezza, anche a costo di una riduzione del Pil dell’Eurozona.
Nonostante il recente calo dei prezzi dell’energia, l’inflazione continua a mordere in Europa come dimostrato dal dato core e ben al di sopra del target del 2% fissato dalla Bce. Se da una parte una recessione profonda sembra scongiurata, grazie alla capacità di adattamento delle aziende europee al nuovo scenario, dall’altra parte i rischi energetici potrebbero ripresentarsi alla fine dell’anno o nel 2024, tralasciando la spada di Damocle rappresentata dal conflitto ucraino. Problematica energetica sui cui oggettivamente la Bce può fare poco essendo diretta conseguenza della politiche dei governi
Se un forte rallentamento economico sembra scongiurato non è ancora il momento di rilassarsi per i banchieri centrali, con il rischio di una ripresa dell’inflazione che ha la brutta caratteristica di salire a razzo ma di scendere come una piuma. La presenza di moltissime variabili da prendere in considerazione rende molto complesso l’operato dei banchieri centrali. Sarebbe bello sapere se almeno loro hanno una visione lucida sul futuro o navigano a vista in attesa dei dati come tutti noi. Evitandoci cosi l’ingrato doppio ruolo di Dottor Jekyll e Mr Powell