Un inizio d’anno scoppiettante, sui mercati azionari e pure sui tassi. Come se gli investitori avessero fretta di mettere fine ad un anno molto complicato che ha visto scendere stranamente sia obbligazionario che azionario, evento accaduto pochissime volte negli ultimi anni. E’ bastato infatti un dato sull’inflazione inferiore alle stime per rinfocolare la voglia di “risk on” nonostante le banche centrali rimangano caute
Ma se il picco è stato probabilmente raggiunto, altra cosa invece è vedere una stabile discesa dei prezzi che consenta effettivamente un cambio di rotta ai banchieri centrali molto determinati a mantenere la barra dritta al fine di evitare vampate inattese nei prossimi mesi. Dopo essere stati ben sostenuti per oltre 10 anni gli investitori fanno fatica a digerire una Fed improvvisamente divenuta falco e tornata al suo vecchio mandato di stabilità dei prezzi e gestione dell’occupazione, anche “ a costo di sacrifici in termini economici” come è stato lesto Powell a dichiarare giorni orsono, non essendo la crescita l’obbiettivo di una banca centrale indipendente.
Se una recessione profonda sembra essere scongiurata il contesto rimane complicato da decifrare a cominciare da un mercato del lavoro americano che continua a mostrarsi solido e che è la principale fonte di inflazione causata dalla pressione salariale. E sottolinea una volta di più che mentre la Fed ha ben chiaro in testa il percorso dei tassi, per molti altri aspetti da l’idea di brancolare nel buio su quello che può essere il percorso dell’economia. Ed è proprio questa incertezza che sta portando i mercati, abituati a guardare alle prospettive future, a lanciarle un guanto di sfida nella speranza di vedere un taglio dei tassi già a fine 2023, facendo di fatto rimangiare a Powell le sue parole.
La stagione delle trimestrali è un importante snodo per capire a che punto è la politica della Fed. Gli effetti del rialzo dei tassi, iniziati lo scorso marzo, iniziano a farsi sentire dopo 6/9 mesi e forniranno una indicazione sul grado di raffreddamento dell’economia che sono riusciti a sortire, e in particolare quanto hanno impattato sui titoli “growth” passati dalle stelle alle stalle in soli 12 mesi. L’impressione è che l’opera di pulizia delle quotazioni di un comparto spinto fino al cielo non solo dalla pandemia ma soprattutto dalla fortissimi liquidità immessa nel sistema non sia ancora completata e che alcune sorprese in negativo potranno ancora trovare spazio nel primo trimestre dell’anno
Mentre l’America annaspa nelle sue contraddizioni, nel mondo accadono cose interessanti. A partire dalla sovraperformance dei listini europei rispetto a quelli americani. Da sempre il volante è in mano a Wall Street ma in questo inizio anno il vistoso calo dei prezzi dell’energia, con il gas quotato ad Amsterdam TTF tornato su livelli pre-guerra, la ripresa del comparto bancario e delle utilities oltre che ad un recupero dell’economia tedesca trainata dalla riaperture in Cina, tutti questi fattori hanno riportato un rinnovato entusiasmo su listini europei che beneficiano anche di quotazioni molto più basse. Anche la fase di forza dell’Euro contro il Dollaro anticipa un miglioramento della situazione generale rendendo di fatto più semplice l’operato della Bce che potrebbe ora allentare la morsa sui tassi non essendo più costretta ad inseguire la Fed per evitare che un dollaro troppo forte importi inflazione in Europa tramite l’acquisto di prodotti energetici
L’altro elemento di novità è rappresentato dalle aperture cinesi. La gestione del Covid è stata di fatto fallimentare cosi come la produzione di vaccini non in grado di immunizzare la popolazione, inducendo Xi Jinpin ad un netto cambio di strategia ora che il terzo mandato alla guida del partito comunista cinese si è concretizzato. La ritrovata libertà cinese si presenta però come un arma a doppio taglio dal punto di vista economico mentre rimane tutta da vedere quella sanitaria in presenza di decine di milioni di persone si mettono in viaggio in occasione della festività del capodanno cinese in calendario il 22 gennaio. Infatti se da un lato permette una spinta a tutta l’economia mondiale riappropriandosi del suo ruolo di “fabbrica del mondo”, dall’altra parte una ripresa a pieno regime della produzione cinese, con il relativo bisogno di energia e materie prime, rischia di alimentare nuovamente quelle dinamiche inflazionistiche a livello mondiale riportandosi dentro uno scenario da cui ci sembrava di essere prossimi all’uscita.
Il 2023 è appena partito ma mentre si attengono sviluppi positivi dal lato conflitto in Ucraina, dalle premesse sembra un anno ancora da montagne russe, almeno finchè gran parte delle sue contraddizioni non saranno risolte.