“Nulla è più facile che illudersi, perché ciò che ogni uomo desidera crede anche che sia vero” diceva Demostene politico e filosofo greco 300 anni prima di cristo. E come allora è valido anche adesso, in particolare sui mercati finanziari, con gli investitori colti in contropiede dalle parole di Powell di ulteriori rialzi dei tassi a sole due settimane dall’ultima riunione della Fed che aveva sancito una pausa nei rialzi dopo 18 mesi.
Dopo un 2022 da dimenticare con la discesa sia del mercato azionario che obbligazionario, evento rarissimo data la correlazione inversa anche per la gestione del rischio legata al “fly to quality, l’inizio del nuovo anno è stato spettacolare, attraversato da una esplosione di ottimismo per la ripresa cinese post Covid, una maggiore resistenza dell’economia globale ed il sollievo per il possibile picco dell’inflazione. Tutto questo ha alimentato l’illusione che ormai il peggio fosse alle spalle e cosi pure il vertiginoso e velocissimo rialzo dei tassi che non si vedeva da oltre 40 anni. A cui si è aggiunta l’euforia per l’avvento dell’intelligenza artificiale (AI) di cui si fa tuttora fatica a carpire la portata.
Ma giunti alla fine del secondo semestre, le illusioni create rischiano di essere completamente disattese sui mercati finanziari. In particolare negli Stati Uniti dove il corposo rialzo dei tassi ancora non fa sentire sull’economia reale e che continua a presentare un mercato del lavoro da piena occupazione, con inevitabili pressioni sulla componente salariale. E’ chiaro che una crescita dall’occupazione è salutare e fa bene all’economia ma questa buona notizia rischia di tramutarsi in un segnale negativo per la Fed che ha adesso la sua massima di priorità quella di raffreddare il mercato del lavoro.
Senza ombra di dubbio i mercati desiderano un pivot dalla Fed, anche per ancorarsi a qualche certezza nella strategia di investimento nella seconda parte dell’anno, ed più in generale in un contesto completamento cambiato dopo la sbornia di liquidità vista negli ultimi 13 anni e l’invasione dell’Ucraina. Ma è altrettanto vero che quello dei mercati è un poi desiderio. La decisione di una pausa nella manovra di rialzo dei tassi da parte di Powell non deve significare che il tetto del rialzo dei tassi è stato raggiunto ma unicamente un modo per verificare gli effetti sull’economia reale.
In un quadro di rallentamento economico i dati sul mercato del lavoro sono ultimi a mostrare un indebolimento. Tuttavia sempre abbastanza chiaro come la Fed, al pari delle altre banche centrali, peraltro collegate tra loro, veda nella recessione l’unico metodo per riportare sotto controllo i prezzi. E allo stesso tempo puntellare il fattore “credibilità” che permette impatti sui mercati solo annunciando provvedimenti senza necessariamente attuarli, come nel caso ormai celeberrimo del “whatever it takes” di Mario Draghi.
Credibilità crollata sui minimi storici dopo l’infausta dichiarazione di transitorietà dell’inflazione da parte dei Powell nel dicembre 2021 e che il presidente della Fed è determinato a restaurare ad ogni costo anche mantenendo i tassi alti per un tempo più ampio del necessario dopo essere mosso oggettivamente in ritardo, in pratica reiterando l’errore. E cosi facendo scacciando il fantasma di un suo predecessore degli anni 80, Paul Volcker, che dopo aver alzato i tassi in maniera importante in un contesto di iperinflazione, li abbassò prematuramente provocando una nuova fiammata dai prezzi annullando di fatto il lavoro svolto
Il rialzo tassi è solo uno dei problemi che gli investitori devono affrontare arrivati alla boa di metà anno. La debole ripresa cinese unita ad un quadro geopolitico confuso a causa della formazione di nuovi equilibri geopolitici indicano quanto illusorio possa essere stato il rialzo visto nella prima parte dell’anno. Alimentando cosi le possibilità di una correzione durante l’estate durante la quale si capirà tramite la lettura dei dati il grado di raffreddamento dell’economia.
Oltre alla nuova situazione russa, le variabili a cui prestare attenzione per capire dove tira il vento sono il Petrolio e il Dollaro, tra loro inversamente correlati. Un nuovo crollo del prezzo del greggio, in difficoltà nonostante i recenti tagli della produzione da parte dell’Opec, sarebbe un segnale chiaro dell’arrivo di una imminente recessione e che verrebbe accompagnato da un incremento del biglietto verde in funzione di bene rifugio. Situazione che potrebbe essere gia stata anticipata dal ritorno di interesse per il mondo delle cryptovalute visto recentemente
“Prendere decisioni sull’onda dell’incertezza è gia abbastanza dannoso ma farlo in base alle proprie convinzioni può essere catastrofico”. Nel contesto attuale prevale proprio l’incertezza, legata alla possibilità che possa esserci una recessione forte oppure un atterraggio morbido. Sta alle banche centrali ed in particolare al “mago Houdini” Powell definire per gli investitori il confine tra illusione e certezza.