A distanza di decenni ce lo ricorderemo bene il 24 febbraio 2022, il giorno in cui la Russia invase l’Ucraina decretando di fatto la fine dell’ordine mondiale che avevamo vissuto negli ultimi 30 anni, una intera generazione insomma. È una di quelle date simboliche, in cui spesso ti ricordi dove eri cosa stavi facendo e probabilmente anche come eri vestito, come nel caso degli attentati dell’ 11 settembre 2011, dell’inizio del lock down per Covid, o per tornare indietro nel tempo, al crollo del muro di Berlino nel novembre del 1989 che segnò l’inizio di un nuovo corso della storia
Anche la guerra in Ucraina, la prima in Europa dalla fine delle seconda guerra mondiale, sta cambiando gli eventi ma soprattutto sta modificando gli equilibri mondiali mettendo in grande evidenza la fragilità se non la decadenza del’ America. Se il 19 secolo era stato ad appannaggio degli Inglesi, il 20 esino era stato quello americano, il 21 sembra essere effettivamente quello cinese abile a sfruttare le difficoltà altrui in presenza di un sistema politico autarchico. Con un altro grande paese come l’india subito dietro a conferma dello spostamento del potere e ricchezza verso l’oriente favoriti dalla presenza di una popolazione giovane ed emergente in aperto contrasto con l’invecchiamento occidentale
Il taglio improvviso ed inatteso della produzione di petrolio da parte dell’ Opec anticipa la possibilità di una recessione che avrebbe spinto al ribasso i prezzi del greggio. Ma soprattutto evidenzia la fine dell’alleanza o meglio del rapporto privilegiato tra Arabia Saudita e Stati Uniti basato sullo scambio petrolio contro protezione militare conseguenza diretta dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel lontano 1990. Anche in questo caso subito dopo la caduta del muro di Berlino approfittando dei cambiamenti degli equilibri mondiali deviranti dal crollo dell’Unione Sovietica.
Dopo aver affermato che la produzione sarebbe rimasta stabile per molto tempo, il cambio di rotta improvviso dell’Opec, di cui l’Arabia Saudita è il principale azionista ma che comprende anche la Russia, impatta notevolmente sui prezzi del greggio ed in particolare in America che ha visto negli ultimi due anni una netta diminuzione della produzione di Shale Oil domestico. La reiterazione dello sgarbo all’amministrazione Biden, come il taglio di 2 milioni di barili alla vigilia delle elezioni amministrative di Mid term dello scorso novembre, evidenzia come a Ryad si guardi con maggiore attenzione verso Oriente. Confermando il rimescolando delle alleanze nel mondo creato dal nuovo posizionamento della Russia, sicuramente più affine all’Europa ma finita per convenienza e necessità nelle braccia della Cina, riproponendo di fatto la costruzione di due blocchi contrapposti come quelli che avevano caratterizzato il mondo della guerra fredda pre-globalizzazione
Ma il rialzo dei prezzi del petrolio complica non poco il lavoro della Fed impegnata a portare sotto controllo una inflazione ai massimi da 40 anni, che faticosamente mostra qualche segnale di discesa. Nell’ultima riunione Powell ha svolto il suo compitino alzando i tassi di uno scontatissimo quarto di punto in presenza della crisi bancaria. La nuova stagione delle trimestrali delle società americane in calendario da dopo pasqua chiarirà definitamente se il fortissimo rialzo dei tassi visto negli ultimi 12 mesi e che richiede tempo per avere effetti sull’economia reale, ha impattato sugli utili aziendali. Il rallentamento della crescita economica potrebbe essere un primo segnale che il picco dei tassi è a portata di mano anche se è lecito attendersi un periodo di attesa in presenza di un raffreddamento del mercato del lavoro.
Statisticamente i ribassi sui mercati sono sempre avvenuti in presenza di un taglio dei tassi da parte delle banche centrali che cosi facendo confermavano il rallentamento in corso. Gli investitori nel frattempo oscillano continuamente tra pessimismo cosmico e esuberanza razionale, alimentando una forte volatilità che rispecchia una mancanza di direzionalità. L’aumento dei prezzi del Petrolio delle ultime sedute aggiunge una ulteriore variabile al quadro rischiando di richiamare sul palco la parola più temuta dagli economisti “Stagflazione” cioè rialzo dei prezzi in presenza di una contrazione dell’economia. Rendendo ancora più complicato ed imprevedibile il percorso dei tassi da parte delle banche centrali nei prossimi mesi, senza considerare i possibili sviluppi bellici non sono in Ucraina ma anche riguardo a Taiwan.
“La potenza è nulla senza controllo” diceva Carl Lewis in nota pubblicità per la Pirelli nel 1994. Nel caso della Fed ma anche delle banche centrali in generale si può sostituire controllo con timing: sbagliare la tempistica, come accaduto già a fine 2021 rischia di provocare un disastro sui mercati. Alla faccia del tanto auspicato soft landing…..