“Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare” diceva Bluto, personaggio iconico interpretato da John Belushi nel film cult del 1978 Animal House, per sottolineare in maniera ironica come quando le difficoltà e gli imprevisti aumentano e bisogna tirare fuori qualcosa di speciale, sono pochi quelli che riescono a reagire in positivo e ad alzare l’asticella.
“Il gioco si fa duro” è in realtà quello che sta accadendo adesso sui mercati finanziari nel braccio di ferro tra e banche centrali e investitori, con i primi impegnati nella lotta contro un inflazione implacabile e sottovalutata a forza di corposi rialzi dei tassi e i secondi che non credono che questa situazione possa andare avanti per molto, di fatto anticipando gli eventi e puntando sul fatto che i banchiere centrali stiano di fatto bluffando.
Un breve riassunto: dopo 12 anni di tassi praticamente a zero ed infinita liquidità nel sistema, ai primi avvisagli di aumento dei prezzi il governatore della Fed Powell definisce transitoria un inflazione che toccherà poi i massimi da 40 anni a questa parte. A questo punto inizia una serie di corposi rialzi dei tassi che non si vedevano appunto da 40 anni con lo scopo di portare il fenomeno sotto controllo anche a costo di mandare in recessione l’economia.
Ma nonostante una inversione dei rendimenti tra il T-bond a 2 anni e quello a 10 che non si vedeva appunto dagli anni 80 da sempre segnale di recessione e tassi arrivati quasi al 5% in un solo anno, i dati macroeconomici continuano a mostrare una economia forte, come quello sull’occupazione, quello dei prezzi al consumo a gennaio il rialzo più consistente da 3 mesi oppure quello sui prezzi alla produzione della scorsa settimana, il maggior incremento in 7 mesi, che non sembra turbata o risentire della stretta monetaria entrambi fattori altamente inflattivi. Peraltro sull’buon andamento economico americano impattano sia politiche fiscali di supporto che il cambiamento dei consumatori post covid legati alla mentalità del “tutto e adesso”
Certo i investitori festeggiano lo scampato pericolo di un “hard landing” o addirittura di una possibile stagnazione e mai come in questo periodo li abbiamo visti passare rapidamente da pessimismo cosmico ad un euforia dilagante peraltro senza grandi picchi di volatilità come eravamo abituati in passato. Ma rimane difficile pensare che si possa tornare ad avere un controllo dei prezzi, assunto principale della Fed assieme alla piena occupazione retaggio della crisi finanziaria del 1929, con un target stabilito al 2% senza avere un corposo rallentamento economico.
E’ vero che una stretta monetaria richiede del tempo per dispiegare i suoi effetti ma i recenti utili aziendali pur se in calo mostrano come le aziende americane stanno tuttora tenendo anche se scaricando i costi sui margini in presenza di fatturati che rimangono in crescita. Ed è qui che il gioco si fa duro: Powell andrà avanti con la sua politica restrittiva fino alla estreme conseguenze con qualcuno che paventa un pivot addirittura al 6% oppure avranno ragione gli investitori che ritengono che non possa farlo e che sarà quindi pronto ad aprire i cordoni della borsa dei tassi, di fatto accettando un sostegno perenne ai mercati finanziari.
Nonostante la Lagarde, l’Europa potrebbe approfittare del braccio di ferro dall’altra parte dell’Atlantico, in particolare adesso che la crisi energetica sembra rientrata e si vedono segnali di ripresa nell’economia tedesca favorita anche dal cambio di rotta della Cina. Certo i tassi sono ancora in crescita come sottolineato recentemente dalla Lagarde ma le valutazioni delle aziende europee sembrano decisamente attraenti e potrebbero rivelarsi una carta vincente, in particolare nel caso segnali positivi sul fronte Ucraina
Con gli investitori che temono l’incertezza, il buon lavoro di Powell sul lato comunicativo negli ultimi tempi è stato sicuramente apprezzato. Tuttavia l’impressione rimane di essere troppo dipendente dai dati nel definire la sua azione e questo risulta sicuramente un elemento di debolezza in quanto evidenzia una mancanza di visione in un mondo peraltro veramente complesso in cui per esempio non risulta ancora chiaro quale sarà l’impatto delle recenti aperture cinesi. E fa il paio con un obbiettivo di target di inflazione del 2% che pare onestamente irreale ma che deve essere difeso ad ogni costo per evitare ulteriori perdite di credibilità dopo aver mancato clamorosamente nel 2021
La prossima riunione della Fed a fine marzo con decisioni sui tassi e relativa forward guidance sarà un ottima occasione per Jerome Powell per dimostrare se ha gia raggiunto il suo massimo livello o se è in grado di “giocare ancora più duro”. Gli avversari, alias gli investitori lo stanno aspettando al varco