La grande scommessa. E’ questo che sembra caratterizzare i mercati finanziari nel primo mese dell’anno in attesa appunto delle riunioni delle Banche Centrali in calendario questa settimana in particolare Fed, Bce e Bank of England. Con la Banca centrale Canadese che annunciando un stop agli aumenti dei tassi la scorsa settimana ha creato un pericoloso o interessante, dipende dai punti di vista, precedente. Ma la grande scommessa è anche un film (the Big Short) del 2015 in cui si ripercorre la storia di un gruppo di investitori che avevano capito in anticipo la formazione di una bolla legata ai mutui subprime nel 2007/2008 che portò al fallimento di Lehman Brothers scommettendo (cioè andando short in gergo tecnico, da qui il titolo del film) contro il mercato. La storia poi è conosciuta: memori del crack del 1929, le banche centrali furono costrette ad inondare il mercato di liquidità per salvare il sistema finanziario iniziando quella politica di tassi bassi o zero, ulteriormente implementate con l’arrivo della pandemia che ha poi contribuito allo scoppio dell’inflazione e all’incredibile rialzo dei tassi visti negli ultimi 12 mesi.
Chiariamo subito che non ci troviamo nella stessa situazione derivante dalla presenza di una bolla la cui caratteristica principale risiede nel fatto che si vede solo quando è scoppiata. Ma è innegabile come gli investitori stiamo forzando la mano alla Fed, andando contro il primo assioma “mai combattere la Fed” e di fatto spingendo al rialzo gli indici azionari scommettendo su un alleggerimento o addirittura stop della stretta monetaria per poi vedere addirittura un ribasso dei tassi verso la fine dell’anno, questo in base ad aspettative di più ottimistiche sull’inflazione rispetto alle banche centrali. Situazione per altro vista già vista lo scorso dicembre con gli indici saliti prima della riunione per poi azzerare i guadagni sulle delusioni derivanti dalle parole di Powell
La realtà è il governato della Fed non ha mai cambiato idea sulla rigidità della politica monetaria, anche a costo di trascinare l’economia dentro una recessione che dopo le paure iniziali sembra essere soft. Infatti dopo aver ignominiosamente definito come transitoria l’inflazione più alta degli ultimi 40 anni la Fed non può ora correre il rischio di fermare il processo con il rischio di una perdita di credibilità che sarebbe quasi impossibile da recuperare. Anche a costo di sofferenze per l’economia come ebbe a dire a fine agosto a Jackson Hole.
D’altronde la situazione economica si presenta abbastanza florida come hanno dimostrato sia i dati del Pil che quello degli ordini durevoli americani della scorsa settimana. A cui si aggiunge un mercato del lavoro che rimane robusto e tutto questo porta a considerare più probabile un rialzo di 50 punti base invece che 25. Il grande dubbio rimane sulle variabili analizzate per definire il percorso dei tassi, in primis sulla effettiva capacità della Fed di capire le dinamiche del mercato interno, specialmente il comportamento dei consumatori che contribuiscono per circa il 70% del Pil, decisamente cambiato dopo la pandemia, e che vengono analizzate con strumenti obsoleti o comunque non adeguati. L’altro grande interrogativo invece riguarda il mercato del lavoro che fornisce valori che possono essere anche fuorvianti essendo alimentato dagli investimenti federali dell’amministrazione Biden che riguarda vari settori industriali legati sia alla transizione energetica che allo sviluppo della produzione di microchip. Di fatto creando una contrapposizione tra la politica fiscale che crea posti di lavoro e la Fed mira a distruggerli per raffreddare l’economia
Sul lato europeo la situazione sembra essere più semplice se non fosse che il vecchio continente paga ancora un ritardo rispetto alla controparte americana. Il brusco calo delle quotazioni energetiche, in particolare del prezzo del gas grazie più ad inverno mite che ad un accordo sul tetto da parte dei paesi membri, lascia pensare ad un effettivo picco dell’inflazione e lascia margini di manovra alla Lagarde nella seconda parte dell’anno. Anche in considerazione di un’economia tedesca che continua ad essere in netta difficoltà ma che potrebbe essere aiutata dalle aperture cinese. Le difficoltà per la Bce possono venire da divergenze di vedute tra i membri, anche se la crisi della Germania gioca a favore, e da una sottovalutazione del conflitto bellico in Ucraina che sembra andare verso un inasprimento a primavera dopo i falliti tentativi di pace dello scorso autunno.
A questo punto basta aspettare qualche giorno. Le decisioni sui tassi, abbastanza scontate, ma soprattutto la guidance delle banche centrali fornirà le indicazioni per capire se l’ottimismo visto nel primo mese del 2023 è stato solo una scommessa oppure se i mercati guardano già avanti con ottimismo in un contesto peraltro contrassegnato da una liquidità in netta diminuzione. Se non fosse che uno deve mostrarsi inflessibile (Powell) ed un’altra evitare di fare gaffe e dettare una linea comune (Lagarde) ci sarebbe da essere anche ottimisti