Non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare. Diceva saggiamente Seneca circa 2000 anni fa per indicare che prima bisogna fissare una metà, un obbiettivo da conseguire prima di muoversi altrimenti ogni sforzo è vano e si rischia di non andare da nessuna parte. Ed è quello che gli investitori pensano attualmente dell’operato delle banche centrali.
La recente e densissima settimana delle riunioni delle banche centrali ha certamente contribuito a ridimensionare gli entusiasmi dei mercati che avevano spinto ad un recupero molto marcato dei listini azionari negli ultimi due mesi sull’assunto di uno stop alla politica restrittiva sulla base di alcuni dati di inflazione in leggero calo rispetto alle attese. Anzi il tono usato dai banchieri centrali è stato decisamente più duro di quanto ci si potesse attendere costringendo gli investitori a riporre lo champagne messo in frigo per Natale.
Più che il rialzo di mezzo punto, scontato dal mercato, ed il linguaggio da “falco” in presenza peraltro di un possibile picco dell’inflazione dalla conferenza stampa è emersa l’impressione di un navigare a vista, esattamente come un marinaio che non sa dove andare. Chiariamo subito il punto: Powell ha ben presente che il percorso di rialzi di tassi non si è esaurito proprio perché vuole combattere a tutti i costi l’inflazione anche a costo di spingere l’economia americana in recessione ed impattare cosi su un mercato del lavoro che continua a mantenersi solido. Ed evitare rigurgiti inflazionisti nel prossimo futuro dopo aver definito transitorio il problema
Ma è dal lato comunicazione che vengono i problemi. Le parole di Powell, ed in misura ancora maggiore della Lagarde, forniscono l’idea di continuare a correre “dietro alla curva” forse con la speranza di un sgonfiamento spontaneo dei prezzi, ma mancano di un obbiettivo chiaro di arrivo di rialzo con il rischio concreto di fare molto più di quanto necessario e con conseguenze gravose in termine di “hard landing” nel caso la situazione scappasse di mano. Certo in questo momento è anche importante evitare un nuovo allentamento delle condizioni finanziarie che aveva portato al surriscaldamento del mercato azionario e di altri asset speculativi. Ma il trasparire di questa incertezza da parte chi di chi è deputato a manovrare le leve monetarie sta innervosendo gli investitori che pensavano di essere alla stazione finale della via crucis della stretta monetaria.
Anche la Lagarde ha i suoi problemi. Non che sia mai stata una fine comunicatrice ma i toni da falco dell’ultima riunione hanno fatto impennare nuovamente i rendimenti obbligazioni. La governatrice della Bce è costretta a seguire la Fed nella sua stretta monetaria in presenza di una inflazione completamente diversa, in America legata principalmente ai consumi interni, mentre Europa è derivante per la maggior parte dalla shock energetico legato alla guerra. Ma evitare o procrastinare un rialzo dei tassi che con tutta probabilità provocherà una recessione nel vecchio continente e sta già provocando tensioni sociali avrebbe come conseguenza un euro decisamente debole nei confronti del biglietto verde importando di fatto ulteriore l’inflazione che si vuole combattere tramite l’acquisto dei prodotti energetici da sempre denominati in dollari.
Vale la pena sottolineare come Fed e Bce stanno seguendo il manuale delle banche centrali per cui ad un aumento dei prezzi si risponde con un incremento dei tassi per raffreddare l’economia. Ma per la prima volta dopo 20 anni la politica monetaria e quella fiscale si stanno muovendo in maniera differente, in America con una amministrazione che spende anche per ragioni elettorali mentre in Europa vengono aumentati i bilanci pubblici per alleviare i cittadini delle conseguenze della guerra, evento che ha modificato anche questo equilibrio oltre a quello geopolitico generale. Misure che alimentano quella stessa inflazione che si vuole combattere.
Forse per i governatori delle banche centrali è arrivato il momento di prendersi delle responsabilità e far capire in maniera chiara a cittadini/investitori che nel medio periodo un’inflazione sui massimi da oltre 40 anni fa più danni all’economia rispetto ad una probabile e forse temporanea recessione. In quanto ai mercati se ne faranno una ragione